Era il 7 luglio 2020 e appena tornato da una festa di un cuginetto, lungo tutto il tragitto di ritorno a casa non ho fatto altro che pensare a quante parole possono essere utilizzate per spiegare il fenomeno della tavola calda.
Perché di fenomeno si parla.
Motivo per il quale ho subito sentito il bisogno di scrivere qualcosa, come quando Dante vide per la prima volta il trentasette di Beatrice e ccu na pinna e nfogghiu cumminau mmacellu.
Intanto ci tengo a precisare che la tavola calda è quella catanese e che quella vendono nelle altre parti d’Italia sinceramente va putiti mpicari nda carina.
Comunque sia osservando in doveroso silenzio e senza farmi sgamare da nessuno, mi sono reso conto di come effettivamente ci sono dei comportamenti che si ripetono in ogni festa, da generazione in generazione.
Parto dal presupposto che la tavola calda non è una scelta, ma è una soluzione.
Rapida e veloce.
Ti leva ogni preoccupazione e ti libera da qualsiasi pensiero organizzativo.
“No nenti, facemu na cosa accussì, accattamu 'MPOCU di tavola calda”.
Ecco.
Quel 'MPOCU è la bugia che maggiormente si ripete in ogni festa a cui si prende parte.
Di 'MPOCU non c’è nenti.
Nel pieno rispetto delle più grandi leggi che regolano matematica e fisica, il catanese tende sempre a moltiplicare per 4 una qualsiasi quantità.
“Quanti semu rumani?” chiede il delegato all’ordine
“Quaranta semu” risponde l’organizzatrice.
“Allura semu quaranta, mittemu quattru pezzi a testa, su 160 pezzi. Apposto, ci ni oddinu rucentu” risponde con decisione lo scenziato.
Quindi quel 'MPOCU iniziale diventa un 'MPOCU ASSAI alla fine della festa, quando le zie armate di catta stagnola iniziano a distribuire a tutte le famiglie presenti la tavola calda rimasta ed è lì che il dubbio, quasi silenziosamente, viene fuori dalle loro bocche “fossi era mpocu assai sta tavola calda”.
Se da un lato vi è la certezza che la tavola calda accontenta tutti, dall’altro vi è un’incertezza costante.
Un dubbio che assale in ogni festa.
“Quelli a ragù quali sono?”.
Puoi essere catanese dalla nascita e mangiare arancini da quando eri nella naca, ma nelle feste di compleanno non si capisci picchì chiddi ca fanu l’arancini s’addivettunu a falli di fomma divessa.
Ovali, rotondi, a punta.
Nel tentativo di trovare quello giusto, ndo frattempu ti ni manci tri, quattru.
Sempre per il rispetto delle leggi della matematica e della fisica.
Ultima ma non meno importante, la modalità con la quale ci si approccia alla tavola calda.
Prendi per esempio il piatto di plastica delle feste.
Un piatto che è stato pensato per i bambini e per contenere al massimo tri patatini, ma che il catanese ingegnere riesce a riempire in ogni suo spazio disponibile.
Il piatto non si fa per comodità, il piatto si fa picchì ni scantamu ca i cosi finisciunu.
Io per esempio sono uno che ama “spizzuliari”.
Tovagliolo in mano e si abbudda che è una meraviglia.
Il piatto in fondo ti limita.
E poi si sa, farsi vedere ca unu fa cchiu viaggi ppi ghinghiri u piattu pari mali.
Alli voti pensano che siamo pocci.
E voi che tipo di persone siete?
____________
Resta aggiornato con le storie di ordinaria Liscìa e preparati alle prossime novità.
Come fare? Lascia la tua mail qui e verrai avvisato ogni qual volta mi veni di sparari na minchiata.
Vi voglio con la salute amici cari.